Vi espongo quanto ho letto sulla pagina di “Tiscali Scienza”

water_vapoer_planetRappreentazionea artistica di un pianeta e della sua esile atmosfera

VAPORRE ACQUEO NELL’ATMOSFERA DI UN PIANETA EXTRASOLARE

Per la prima volta del vapore acqueo e dell’ idrogeno sono stati “intravisti” nell’atmosfera del più piccolo pianeta di un altro Sistema Solare. Vedere questi elementi, finora osservati solo sui pianeti giganti esterni che ruotano intorno ad altre stelle, è stato possibile grazie al lavoro congiunto di tre telescopi spaziali della Nasa:  “Hubble”, “Spitzer” e “Kepler”. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature, si deve ad un gruppo di ricerca dell’università americana del Maryland.

Il “codice fiscale del pianeta e’ “HAT P-11b”, ha dimensioni e massa simili a quelle di Nettuno, orbita attornoa una stella più fredda del Sole e si trova nella costellazione del Cigno, distante dalla Terra 1,2 milioni di miliardi di chilometri (per renderci conto della distanza, diecimila miliardi di chilometri equivalgono ad un anno luce). La scoperta della sua atmosfera è per gli astronomi un notevole passo in avanti, fondamentale nello studio della formazione dei pianeti e per alimentare le speranze di trovare dei pianeti dove vi sia la vita.

Le osservazioni e le misure che sono state fatte finora indicano che i pianeti simili a “HAT-P-11b  hanno atmosfere ricche di molecole pesanti e di nubi, oppure contengono particelle che, diffondendo la luce, rendono il cielo azzurro”, osserva Isabella Pagano, dell’Osservatorio di Catania dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). ”HAT-P-11b – prosegue la ricercatrice – ha invece un’atmosfera leggera, ad alto contenuto di idrogeno. Questo risultato indica che la varietà nella composizione delle atmosfere planetarie è la regola”. E non non l’eccezione; come puo’ essere “la regola” la presenza di acqua in atmosfere di altri mondi.

“Adesso, astronomi e astrofisici si metteranno al lavoro per creare dei modelli che abbiano una descrizione esauriente della formazione e architettura dei sistemi planetari e dei singoli pianeti”, osserva ancora Pagano. Un compito nel quale potrnno avere un ruolo importante il telescopio spaziale James Webb (Jwt), nato dalla collaborazione fra Nasa e Agenzia Spaziale Europea (Esa), e la missione europea Plato. Da Terra lavorerà con loro il telescopio European Extremely Large Telescope (E-Elt). “Tutti insieme”, conclude, ”lavoreranno per comprendere la composizione e l’evoluzione delle atmosfere dei pianeti”.
 

ANCORA SULL’ACQUA: LA LUNA NE CONTENEVA AL SUO INTERNO

moon

La storia della Luna, a partire dalla sua formazione, è forse tutta da riscrivere. Considerata per oltre 40 anni un corpo celeste arido, la Luna rivela invece un passato in cui il suo nucleo conteneva tanta acqua,  quando la roccia più esterna della sua crosta  non si era ancora solidificata. E’ quanto risulta dalla ricerca basata su una nuova analisi delle rocce lunari portate a Terra dalle missioni Apollo e pubblicata sulla rivista “Nature Geoscience”.

La scoperta, del gruppo dell’università francese di Notre Dame contraddice la storia della Luna “scritta” dopo le missioni Apollo. la ricerca, pubblicata nel 2011 sulla rivista Science, ha dimostrato che l’origine della Luna era strettamente legata alla Terra. Secondo questo studio, la Luna si era formata dai detriti generati almeno 3,5 miliardi di anni fa da un gigantesco impatto fra la Terra e un corpo delle dimensioni di Marte, uno dei tanti planetesimi che vagavano nel Sistema Solare all’inizio della sua formazione.

Su questa base si è ritenuto finora che l’acqua presente nelle rocce lunari fosse arrivata dall’esterno, portata da impatti di meteoriti o comete. La presenza dell’acqua, quseto e’ importante, è stata sempre considerata successiva al periodo in cui la crosta rocciosa lunare si era solidificata. Ad avvalorare ulteriormente questa teoria, un altro studio pubblicato nel 2011 ha dimostrato che la piccolissima quantità di acqua presente nelle rocce lunari ha caratteristiche geochimiche diverse rispetto all’acqua presente sulla Terra e che èstata portata dall’esterno, ossia dalle comete.

Adesso i ricercatori dell’università di Notre Dame dimostrano che le cose non sono andate proprio in questo modo. Analizzando le rocce lunari con nuove tecniche hanno scoperto infatti che i grani di minerali delle rocce lunari contengono quantità di acqua piccolissime e molto difficili da rilevare, ma comunque misurabili. I ricercatori dimostrano inoltre che l’acqua era presente nelle zone più interne del satellite anche nel periodo in cui lo strato roccioso più esterno era fuso, prima quindi che si solidificasse. Quello che emerge è quindi uno scenario difficile da conciliare con la teoria del grande impatto dal quale è nata la Luna, accreditata da oltre 40 anni.

E C’E UN PIANETA CHE NON SA DOVE ANDARE

Nettuno_1

Si chiama PSO J318.5-22 il pianeta che negli ultimi giorni ha catturato l’attenzione degli astronomi di tutto il mondo. Distante dalla Terra “appena 80 anni luce”, non ha una stella attorno alla quale poter orbitare. Tale caratteristica gli è valsa la definizione di “pianeta barbone” e “pianeta nomade”. Secondo il dottor Michael Lui, dell’Istituto di astronomia delle Hawaii, si tratterebbe di un pianeta molto giovane, che possiede una massa superiore 6 volte rispetto a quella del pianeta Giove, venutosi a formare poco più di 12 milioni di anni fa. “Mai prima d’ora abbiamo visto un oggetto libero di fluttuare nello spazio che sia simile a questo – ha commentato Lui -. Ha tutte le caratteristiche dei giovani pianeti trovati intorno ad altre stelle, ma sta andando alla deriva tutto solo. Mi ero chiesto spesso se esistono simili oggetti solitari, e ora ne abbiamo la conferma”.

Un pianeta nomade molto giovane, ha appena 12 milioni di anni – La luce proveniente dall’oggetto è circa 100 miliardi di volte più debole in lunghezze d’onda ottiche di quella di Venere e la maggior parte della sua energia è emessa tramite onde infrarosse. Le sue caratteristiche sono paragonabili a quelle di giganti gassosi che orbitano attorno a stelle giovani. PSO J318.5-22 è associato a un insieme di stelle giovani denominato gruppo movimento Beta Pictoris.

Scacciato dal proprio sistema solare da una violenta perturbazione gravitazionale – Ad aver cacciato il pianeta dalla propria orbita, e dunque lontano dalla propria stella, potrebbe esser stata una violenta perturbazione gravitazionale. Ad ogni modo, Niall Deacon dell’Istituto Max Planck per astronomia in Germania, un co-autore dello studio, ha affermato che PSO J318.5-22 dovrebbe aiutare gli scienziati a comprendere meglio gli altri pianeti simili ma non solitari. “Pianeti trovati da immagini dirette sono incredibilmente difficili da studiare, dal momento che sono accanto a stelle molto più luminose – ha spiegato Deacon -. PSO J318.5-22 non è nell’orbita di una stella: in questo modo sarà molto più facile per noi studiarlo. Sta per fornire una vista meravigliosa del funzionamento interno di giganti gassosi come Giove poco dopo la loro nascita”.

Conferme arrivate anche da altri telescopi – Il pianeta è stato esaminato e monitorato anche con altri telescopi. Tra questi compare il Nasa Infrared Telescope Facility ed il Gemini North Telescope. Ulteriori dettagli della scoperta saranno pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Astrophisical Journal Letters

CIAO

Marghian